domenica 24 novembre 2013


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Omosessualità femminile: la vita Adele... e delle altre

24-11-2013 / RICERCA SCIENTIFICA / ILARIA PAOLI
LUCCA, 24 novembre - E’ uscito da poche settimane il nuovo film di Abdel Kechiche ‘La vita di Adele’, che ha toccato il pubblico internazionale sia per la sua bellezza sia per il realismo con cui il regista racconta la storia d’amore tra due ragazze, aprendo una lunga scia di curiosità su ciò di cui si è parlato sempre molto poco: l’omosessualità femminile.
L’omosessualità, come l’eterosessualità, è un orientamento sessuale, e, come tale, lo si può collocare all’interno di un continuum, come rappresentato nella celebre ‘Scala di Kinsey’ del 1948. Questa scala descrive come un eterosessuale o un omosessuale esclusivi siano solo gli estremi ( più teorici che reali ) di una gamma, nelle cui parti mediane si distribuiscono tutti i vari soggetti.
In quest’ottica ha più senso parlare per esempio, di un eterosessuale a ‘soglia di omosessualità’ più o meno alta, in quanto per alcuni soggetti solo condizioni estreme come l’isolamento o il carcere possono indurre comportamenti omosessuali, mentre per altri (eterosessuali a bassa soglia di omosessualità) possono bastare stimoli eccezionali ma più consueti come occasioni favorevoli o di natura trasgressiva senza il rischio di censura sociale. Stesso discorso per i soggetti omosessuali che si possono distinguere per una soglia eterosessuale più o meno bassa.
La teoria di Kinsey, frutto delle prime e importanti ricerche in ambito sessuologico, porta il merito di aver scientificamente contrastato l’errata ma quasi universale convinzione polarizzata per cui ogni persona sarebbe ‘o eterosessuale o omosessuale’.
Unica mancanza a questa scala è il non considerare il rapporto condizionante dell’ambiente esterno: il diverso comportamento adottato da un soggetto che vive in una società omofoba come la nostra o in quello della Grecia classica in cui i comportamenti omosessuali erano considerati caratteristici di ogni cittadino di buon livello sociale e culturale.
Le prime documentazioni sull’omosessualità femminile risalgono alla Grecia di quattromila anni fa. Insieme alla nota bisessualità iniziatica maschile, fiorivano anche comunità femminili in cui le attività omoerotiche avevano lo stesso valore iniziatico. Esse erano vere e proprie scuole di femminilità, dette ‘Tiasi’, riservate esclusivamente alle giovani donne, in procinto di sposarsi.
Qui, le fanciulle ricevevano lezioni di grazia ed eleganza, di musica, di buona educazione, ma anche di iniziazione alla sessualità, ossia sul come agire la sessualità e trarne piacere. Dallo stato selvaggio e primitivo tipico dell’adolescenza, le ragazze passavano a quello di ispiratrici d’amore, sviluppando la sensualità e la sessualità secondo il modello della dea Afrodite, la dea dell’amore erotico.
Questo era un percorso che le ragazze compievano come preparazione al matrimonio, in quanto, questi riti di iniziazione rappresentavano un percorso di integrazione tra sessualità e affetti, una sorta di apprendimento amoroso che consentiva la valorizzazione dell’intimità attraverso i preliminari e il gioco erotico, tanto utile alla stabilità della coppia adulta.
Non per tutte le fanciulle, però, il Tiaso rappresentava solo una tappa.
Il Tiaso più conosciuto, era il ‘Circolo di Saffo’, sorto intorno al 600 a.c. sull’isola di Lesbo. Saffo, famosa poetessa, era la fondatrice di questo Circolo, nel quale trascorse gran parte della sua esistenza.
Succedeva, a volte, che tra queste giovani donne, alcune, dopo un periodo di stretta vicinanza nell’ isola di Lesbo, rinunciassero a tornare nella propria comunità di origine per unirsi in matrimonio a un uomo, e restassero invece sull’isola, dando origine a vere e proprio unioni ‘ufficiali’ tra di loro.
Da qui la nascita del termine ‘saffico’, per definire le unioni tra due donne.
Invece è una deformazione semantica definire l’omosessualità femminile come‘lesbico’, in quanto, per i Greci di quell’epoca, la fama delle donne di Lesbo era legata alla pratica amorosa del ‘fellare’, una pratica molto antica e nota che avrebbero escogitato proprio le fanciulle di Lesbo. Quindi ‘lesbica’ intorno al V secolo A.C., aveva la connotazione di ‘fellatrix’, non di lesbica in senso moderno.
Gli antichi scritti di Saffo e di altri filosofi e scrittori in seguito, ci ricordano come l’amore e l’attrazione sessuale fra persone dello stesso sesso siano sempre esistiti, ma che solo in quell’epoca e solo per ceti sociali privilegiati, essi rappresentavano il rito di iniziazione sessuale che, ‘ oltre ad aprire le porte alla sessualità adulta, consentiva allo stesso tempo di integrare il piacere con l’affettività, realizzando quella condizione che Plutone definiva << sacra>>’ ( J. Baldaro Verde).
Tornando ai nostri giorni, invece, occorre sfatare un diffuso stereotipo secondo il quale si ritiene che nelle coppie omosessuali le partner vestano i ruoli di maschio e di femmina, di chi fa l’attivo e chi il passivo. In realtà questa divisione di ruoli non esiste assolutamente né per quanto riguarda la gestione del lavoro domestico né per i rapporti sessuali, in cui prevale più che mai la reciprocità.
Non esistono codici prestabiliti di comportamento e l’equilibrio di coppia e di convivenza è ricercato creativamente, attraverso un clima di fiducia, complicità e intimità.
Una tipica curiosità, è che, soprattutto il mondo maschile, si chiede come sia possibile una sessualità tra donne, mancanti per natura di ciò che è ritenuto l’attributo principale di piacere, quale il fallo. Allo stesso tempo però, l’atto sessuale tra due donne è da sempre la fantasia erotica maschile più diffusa, e il maschio, nel suo immaginario lo costruisce, disegna, e colora a suo più totale uso e piacere.
A differenza delle coppie omosessuali maschili in cui i rapporti e le relazioni sono a volte ‘aperte’ e tolleranti rispetto alla promiscuità, la coppia lesbica è assolutamente monogama, per cui fedeltà ed esclusività sono caratteristiche fondamentali. La compagna spesso rappresenta anche l’amica privilegiata e il punto di riferimento, e il resto del mondo viene quasi a passare in secondo piano a dispetto di un rapporto fusionale dai toni, quasi, simbiotici.
 L’eros si esprime in qualsiasi essere umano, che sia etero o omosessuale, con la creatività e la condivisione del piacere, delle fantasie e dei desideri, ma, nell’ambito della coppia omosessuale si avvantaggia di una particolarità: l’identificazione.
Una speciale sintonia di sensazioni e di interscambiabilità dei ruoli, in cui, l’essere dello stesso sesso aiuta a sapere che cosa prova l’altra e che cosa può desiderare e viceversa. ‘Grazie a questa sintonia il cammino dell’eros è più facile’ (R. Todella, 2005).
 È stato commesso non poche volte l’errore di ridurre il rapporto d’amore tra due persone dello stesso sesso alla sola sessualità, riconducendo tutto il significato di un legame al corpo e allo scambio del piacere fisico.
Nel caso del rapporto d’amore tra due donne è necessario, invece, superare tale riduzionismo di natura esclusivamente biologica, e considerare il legame, non solo il frutto di un intreccio di attrazione e sentimento, come tutti i legami, ma anche come il risultato di una complessa miscela quali la vicinanza che due creature femminili unite nella passione possono dare, ossia un connubio di complicità, reciprocità, assonanza, sensualità e intelletto.
Oppure possiamo descrivere l'amore di una donna verso un'altra donna, anche solo con un verso della stessa Saffo:
‘... ma io amo la delicatezza, ed Eros ha ottenuto per me la bellezza e la luce del sole…’.
Ilaria Paoli, sessuologa@LoSchermo

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