giovedì 20 marzo 2014

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Il dubbio, il controllo e il rituale: introduzione al disturbo ossessivo compulsivo

Leonardo Di Caprio in 'The aviator', di Martin Scorsese
20-03-2014 / PSICOLOGIA /ILARIA PAOLI
LUCCA, 20 marzo - Chi ha avuto occasione di vedere “The Aviator”, il celebre film di Martin Scorsese, ha potuto conoscere la storia di Howard Hughes, il leggendario aviatore e produttore cinematografico. Grazie all’eccellente interpretazione di Leonardo Di Caprio, lo spettatore non può che averne notato, non solo la straordinaria genialità e intraprendenza, ma anche la sindrome ossessiva - compulsiva di cui soffriva il personaggio.
Cosa sono le ossessioni e le compulsioni?
In particolari situazioni in cui c’è un obiettivo cruciale da raggiungere ed è necessario uno sforzo preciso e scrupoloso, oppure si vive la preoccupazione per un grave problema di salute o economico, è normale l’insorgere di pensieri ricorrenti e comportamenti caratterizzati da una certa ripetitività.
Esistono però delle nette differenze tra ossessioni ‘patologiche’ e ‘non patologiche’.
Le ossessioni patologiche sono idee, pensieri, immagini, impulsi persistenti, intrusivi e inappropriati, che creano disagio marcato e ansia. Il contenuto delle ossessioni è percepito come estraneo al soggetto, fuori dal proprio controllo e non è il tipo di pensiero che si aspetterebbe di avere.
Le ossessioni più frequenti sono: quelle di contaminazione (per esempio: la paura di essere contaminati nello stringere la mano a qualcuno o nell’afferrare una maniglia); dubbi ripetitivi (per esempio quello di chiedersi se si è chiuso il gas, la porta di casa, oppure se guidando si è urtato qualcuno ferendolo); la necessità di disporre gli oggetti in un preciso ordine; impulsi aggressivi o sessuali inappropriati (per esempio l’impulso di gridare oscenità in chiesa o di aggredire il figlio).
Gli individui afflitti da ossessioni patologiche, solitamente, reagiscono cercando di ignorarle o di sopprimerle o di neutralizzarle con altri pensieri o azioni, innescando quindi il circolo vizioso della compulsione.
Le compulsioni sono comportamenti o azioni mentali, ripetitivi eseguiti un numero eccessivo di volte tale da causare notevoli perdite di tempo e disagio significativo, inoltre sono spesso azioni bizzarre e irragionevoli e vanno ad interferire significativamente con la routine normale e il funzionamento lavorativo, sociale e relazionale.
Molto frequenti sono i rituali di lavaggio, molto lunghi, estenuanti e causa anche di lesioni alla pelle; controllare, come aprire e chiudere la porta di casa o la manopola del gas decine di volte; oppure contare seguendo delle sequenze particolari, o ripetere delle parole o delle frasi continuamente (‘ fammi vedere i progetti… fammi vedere i progetti… fammi vedere i progetti…’).
Lo scopo delle compulsioni non è quello di portare piacere o gratificazione, come quello dell’ordinare la propria scrivania per il piacer di lavorare più comodamente, bensì quello di ridurre il disagio, l’ansia, la pressione arrecate dall’ossessione o quello di pensare di poter prevenire un evento temuto. Ad esempio l’ossessione del timore di contrarre una malattia, costringe il soggetto a lavarsi continuamente e a seguire anche dei rituali specifici, bizzarri ed estenuanti.
Altra caratteristica di questo disturbo è l’evitamento: sono evitate le situazioni che riguardano il contenuto delle ossessioni, come lo stringere la mano o entrare nei bagni pubblici.
Molto frequentemente la sintomatologia ossessivo – compulsiva (Disturbo Ossessivo – Compulsivo) emerge in quei soggetti che si possono definire con una organizzazione cognitiva di tipo ossessivo.
Con il termine organizzazione cognitiva non ci si riferisce ad una sindrome o una psicopatologia, bensì si indica una modalità attraverso la quale un soggetto sente ed esprime le emozioni, i significati che attribuisce a ciò che prova e a ciò che accade nella propria vita, sceglie i comportamenti per affrontare determinate situazioni, tale per cui presenta delle caratteristiche che rendono diversi tra loro gli esseri umani.
Le organizzazioni cognitive possono essere più o meno rigide e in base a questo si misura il rischio di sviluppare un disagio di tipo psicopatologico, ossia, meno il soggetto è in grado di diversificare o integrare di altri atteggiamenti e punti di vista il proprio rapporto con l’esterno e con se stesso e più sarà esposto a sviluppare delle modalità troppo ristrette e limitate, quindi disfunzionali ( o patologiche) soprattutto nelle situazioni critiche o emotivamente importanti della propria vita.
Le organizzazioni cognitive sono di cinque tipologie: depressivo, psicosomatico, fobico, ossessivo e dissociativo.
Una persona con un’organizzazione cognitiva di tipo ossessivo presenta degli atteggiamenti che lo contraddistinguono:
Tende ad avere un atteggiamento perfezionistico, ossia non accetta i limiti, gli errori e le debolezze umane, e pretende da se stesso di acquisire nozioni e atteggiamenti perfetti per confermarsi valido e giusto. Ha una costante preoccupazione del giudizio, non solo degli altri ma soprattutto di se stesso, per cui cerca di evitare qualsiasi possibile incrinatura o critica. Crede che esista una soluzione perfetta per ogni situazione, il tutto sta nel trovarla.
Vive un profondo bisogno di certezza e di ordine, non tollera il cambiamento e gli imprevisti, anche quelli piacevoli, ha bisogno di costruirsi una vita in cui prevenire le incognite. Tutto necessita di essere pianificato, previsto e soprattutto, tenuto sotto controllo. Ciò significa adoperare un atteggiamento di dubbio, di verifica, di pianificazione su ogni cosa, niente può essere lasciato al caso o all’imprevedibilità.
Vive un profondo senso della responsabilità, sia per ciò che può essere commesso che per quello omesso. Ha un senso del dovere ben radicato, per cui la ricerca del benessere e del piacere è trascurato se non trasformato anch’esso in dovere, come per esempio praticare uno sport, cha da piacevole passatempo e cura di sé, diventa anch’esso un ‘devo raggiungere degli obiettivi’ quindi un dovere.
Uno dei punti chiave dell’organizzazione ossessiva è il controllo delle emozioni, in quanto essendo queste la materia più imprevedibile e fuori controllo della nostra esistenza, sono considerate molto pericolose. Le emozioni devono essere, quindi, contenute e il lasciarsi andare costituisce un grosso problema. L’aggressività e la rabbia vengono represse perché possono recare danno e dimostrano un sé cattivo e inaccettabile, mentre le espressioni di affetto, invece, sono soffocate perché possono condurre a coinvolgimenti eccessivi.
Di fronte a un’emozione l’ossessivo sperimenta uno stato di imprevedibilità dal quale si rifugia in una ricerca di certezza, in un sistema di pensiero in cui cerca di “mettere le cose a posto”. Da qui nascoso ruminazioni, dubbi, controlli continui, verifiche, che hanno appunto lo scopo di razionalizzare, pianificare e porre il controllo su ogni cosa.
Sul piano affettivo l’ossessivo è molto trattenuto e coartato. Fatica a mostrare slanci, tenerezze o calore emotivo. Sin dall’adolescenza l’ossessivo sviluppa l’idea che si può essere amati solo a condizione di essere bravi, per cui si convince che l’amore si conquista solo attraverso le proprie prestazioni (dal rendimento scolastico, allo sport, alla buona educazione, al giusto adeguamento alle norme morali, ecc.) per cui più si è bravi e più si è amati, senza riuscire a sviluppare ascolto di ciò che fa piacere all’altro e a se stessi.
Questo comporta che il soggetto disconnetta sempre più il contatto con i propri stati emotivi e quelli degli altri, e che le emozioni diventino sempre più un qualcosa di ignoto che, in quanto tale, fanno paura.
Da adulti il coinvolgimento affettivo crea molta timore, per cui anche la scelta del partner diventa motivo di sconfinate analisi e valutazioni, in quanto sia il partner che la relazione devono essere il più possibile gestibili, non devono procurare una perdita del controllo. Dal momento che questo è molto difficile, è frequente che l’ossessivo tenda a tirarsi indietro quando la possibilità di una intimità profonda si fa reale.
L’intimità è desiderata intensamente e contemporaneamente temuta, e nella relazione amorosa non si lasciano trasparire gesti appassionati.
La paura del giudizio, condiziona il rapporto sessuale creando la paura della prestazione sessuale. Più che una ricerca del piacere condiviso, più che una comunicazione affettiva e un benessere per la coppia il sesso per gli ossessivi rappresentaun terreno di prova in cui c’è un’attenta focalizzazione sul livello della prestazione: quanto dura, quanto è frequente, quanto è tecnicamente impeccabile un rapporto sessuale. Il controllo esercitato sulle fasi del rapporto, ovviamente, impedisce al soggetto di vivere la sessualità in modo del tutto gratificante.
Il lasciarsi andare, l’affidarsi al partner e al solo sentire sono dimensioni vissute con estremo timore.
Una struttura cognitiva rigidamente ossessiva, quindi con aspetti di questo tipo molto accentuato, può intercorrere in scompensi quando il soggetto si trova di fronte a decisioni ed eventi importanti della sua vita, per cui sperimenta sensazioni ed emozioni interne tanto intense da fargli presagire una perdita di controllo.
Emozioni come la vergogna, la colpa e il disgusto verso se stesso, facilmente fanno scattare il quadro sintomatologico, quindi, i pensieri intrusivi e ridondanti, ossia le ossessioni, e i rituali per contenere quest’ultimi, ossia le compulsioni.
Un trattamento psicoterapico, accompagnato nei casi più gravi anche da un sostegno psicofarmacologico, è uno o l’unico modo per uscire dall’incubo delle ossessioni e delle compulsioni.
Un buon trattamento psicoterapico, in questo caso, deve lavorare sulle tre dimensioni, cognitiva, emotiva e comportamentale. Su ognuna di queste deve porsi degli obiettivi specifici: la ristrutturazione cognitiva dei concetti disfunzionali, l’ascolto e l’accettazione dei propri vissuti, la riduzione graduale e sistematica del piano sintomatologico, ossia il sollievo dalle ossessioni e dalle compulsioni.
Se presenti anche difficoltà dell’area sessuale, successivo all’approccio psicoterapico, può essere molto utile un intervento di tipo sessuologico mansionale.

domenica 24 novembre 2013


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Omosessualità femminile: la vita Adele... e delle altre

24-11-2013 / RICERCA SCIENTIFICA / ILARIA PAOLI
LUCCA, 24 novembre - E’ uscito da poche settimane il nuovo film di Abdel Kechiche ‘La vita di Adele’, che ha toccato il pubblico internazionale sia per la sua bellezza sia per il realismo con cui il regista racconta la storia d’amore tra due ragazze, aprendo una lunga scia di curiosità su ciò di cui si è parlato sempre molto poco: l’omosessualità femminile.
L’omosessualità, come l’eterosessualità, è un orientamento sessuale, e, come tale, lo si può collocare all’interno di un continuum, come rappresentato nella celebre ‘Scala di Kinsey’ del 1948. Questa scala descrive come un eterosessuale o un omosessuale esclusivi siano solo gli estremi ( più teorici che reali ) di una gamma, nelle cui parti mediane si distribuiscono tutti i vari soggetti.
In quest’ottica ha più senso parlare per esempio, di un eterosessuale a ‘soglia di omosessualità’ più o meno alta, in quanto per alcuni soggetti solo condizioni estreme come l’isolamento o il carcere possono indurre comportamenti omosessuali, mentre per altri (eterosessuali a bassa soglia di omosessualità) possono bastare stimoli eccezionali ma più consueti come occasioni favorevoli o di natura trasgressiva senza il rischio di censura sociale. Stesso discorso per i soggetti omosessuali che si possono distinguere per una soglia eterosessuale più o meno bassa.
La teoria di Kinsey, frutto delle prime e importanti ricerche in ambito sessuologico, porta il merito di aver scientificamente contrastato l’errata ma quasi universale convinzione polarizzata per cui ogni persona sarebbe ‘o eterosessuale o omosessuale’.
Unica mancanza a questa scala è il non considerare il rapporto condizionante dell’ambiente esterno: il diverso comportamento adottato da un soggetto che vive in una società omofoba come la nostra o in quello della Grecia classica in cui i comportamenti omosessuali erano considerati caratteristici di ogni cittadino di buon livello sociale e culturale.
Le prime documentazioni sull’omosessualità femminile risalgono alla Grecia di quattromila anni fa. Insieme alla nota bisessualità iniziatica maschile, fiorivano anche comunità femminili in cui le attività omoerotiche avevano lo stesso valore iniziatico. Esse erano vere e proprie scuole di femminilità, dette ‘Tiasi’, riservate esclusivamente alle giovani donne, in procinto di sposarsi.
Qui, le fanciulle ricevevano lezioni di grazia ed eleganza, di musica, di buona educazione, ma anche di iniziazione alla sessualità, ossia sul come agire la sessualità e trarne piacere. Dallo stato selvaggio e primitivo tipico dell’adolescenza, le ragazze passavano a quello di ispiratrici d’amore, sviluppando la sensualità e la sessualità secondo il modello della dea Afrodite, la dea dell’amore erotico.
Questo era un percorso che le ragazze compievano come preparazione al matrimonio, in quanto, questi riti di iniziazione rappresentavano un percorso di integrazione tra sessualità e affetti, una sorta di apprendimento amoroso che consentiva la valorizzazione dell’intimità attraverso i preliminari e il gioco erotico, tanto utile alla stabilità della coppia adulta.
Non per tutte le fanciulle, però, il Tiaso rappresentava solo una tappa.
Il Tiaso più conosciuto, era il ‘Circolo di Saffo’, sorto intorno al 600 a.c. sull’isola di Lesbo. Saffo, famosa poetessa, era la fondatrice di questo Circolo, nel quale trascorse gran parte della sua esistenza.
Succedeva, a volte, che tra queste giovani donne, alcune, dopo un periodo di stretta vicinanza nell’ isola di Lesbo, rinunciassero a tornare nella propria comunità di origine per unirsi in matrimonio a un uomo, e restassero invece sull’isola, dando origine a vere e proprio unioni ‘ufficiali’ tra di loro.
Da qui la nascita del termine ‘saffico’, per definire le unioni tra due donne.
Invece è una deformazione semantica definire l’omosessualità femminile come‘lesbico’, in quanto, per i Greci di quell’epoca, la fama delle donne di Lesbo era legata alla pratica amorosa del ‘fellare’, una pratica molto antica e nota che avrebbero escogitato proprio le fanciulle di Lesbo. Quindi ‘lesbica’ intorno al V secolo A.C., aveva la connotazione di ‘fellatrix’, non di lesbica in senso moderno.
Gli antichi scritti di Saffo e di altri filosofi e scrittori in seguito, ci ricordano come l’amore e l’attrazione sessuale fra persone dello stesso sesso siano sempre esistiti, ma che solo in quell’epoca e solo per ceti sociali privilegiati, essi rappresentavano il rito di iniziazione sessuale che, ‘ oltre ad aprire le porte alla sessualità adulta, consentiva allo stesso tempo di integrare il piacere con l’affettività, realizzando quella condizione che Plutone definiva << sacra>>’ ( J. Baldaro Verde).
Tornando ai nostri giorni, invece, occorre sfatare un diffuso stereotipo secondo il quale si ritiene che nelle coppie omosessuali le partner vestano i ruoli di maschio e di femmina, di chi fa l’attivo e chi il passivo. In realtà questa divisione di ruoli non esiste assolutamente né per quanto riguarda la gestione del lavoro domestico né per i rapporti sessuali, in cui prevale più che mai la reciprocità.
Non esistono codici prestabiliti di comportamento e l’equilibrio di coppia e di convivenza è ricercato creativamente, attraverso un clima di fiducia, complicità e intimità.
Una tipica curiosità, è che, soprattutto il mondo maschile, si chiede come sia possibile una sessualità tra donne, mancanti per natura di ciò che è ritenuto l’attributo principale di piacere, quale il fallo. Allo stesso tempo però, l’atto sessuale tra due donne è da sempre la fantasia erotica maschile più diffusa, e il maschio, nel suo immaginario lo costruisce, disegna, e colora a suo più totale uso e piacere.
A differenza delle coppie omosessuali maschili in cui i rapporti e le relazioni sono a volte ‘aperte’ e tolleranti rispetto alla promiscuità, la coppia lesbica è assolutamente monogama, per cui fedeltà ed esclusività sono caratteristiche fondamentali. La compagna spesso rappresenta anche l’amica privilegiata e il punto di riferimento, e il resto del mondo viene quasi a passare in secondo piano a dispetto di un rapporto fusionale dai toni, quasi, simbiotici.
 L’eros si esprime in qualsiasi essere umano, che sia etero o omosessuale, con la creatività e la condivisione del piacere, delle fantasie e dei desideri, ma, nell’ambito della coppia omosessuale si avvantaggia di una particolarità: l’identificazione.
Una speciale sintonia di sensazioni e di interscambiabilità dei ruoli, in cui, l’essere dello stesso sesso aiuta a sapere che cosa prova l’altra e che cosa può desiderare e viceversa. ‘Grazie a questa sintonia il cammino dell’eros è più facile’ (R. Todella, 2005).
 È stato commesso non poche volte l’errore di ridurre il rapporto d’amore tra due persone dello stesso sesso alla sola sessualità, riconducendo tutto il significato di un legame al corpo e allo scambio del piacere fisico.
Nel caso del rapporto d’amore tra due donne è necessario, invece, superare tale riduzionismo di natura esclusivamente biologica, e considerare il legame, non solo il frutto di un intreccio di attrazione e sentimento, come tutti i legami, ma anche come il risultato di una complessa miscela quali la vicinanza che due creature femminili unite nella passione possono dare, ossia un connubio di complicità, reciprocità, assonanza, sensualità e intelletto.
Oppure possiamo descrivere l'amore di una donna verso un'altra donna, anche solo con un verso della stessa Saffo:
‘... ma io amo la delicatezza, ed Eros ha ottenuto per me la bellezza e la luce del sole…’.
Ilaria Paoli, sessuologa@LoSchermo