martedì 20 dicembre 2011


Migrazioni: integrazione e modelli di convivenza tra culture diverse

Chagall,
05-07-2011 / EMIGRAZIONE / ILARIA PAOLI
"Se tu avessi la possibilità di viaggiare dove andresti?"
"In America, dove 'sta Rambo.
In America ci sono un sacco di soldi, in America ci è ricchissimi, le strade autostradali, i ponti, le macchine grandi, la polizzia grande.
Non manca mai l'acqua, le case grattacieli, i soldi.
Rambo li uccide tutti.
Rambo è fortissimo, li uccide ai nemici.
In America ci sta mio zio, ma lui non li vatte ai negri.
Zio quando partette era un poverommo, dall'america quando torna torna con la cadillacca bianca, e non c'entra nel vico. Fa i palazzi a America, li fa...
Io c'andrò purio da lui a fare i soldi, i dollari".
(M. D'Orta , "Io speriamo che me la cavo" , 1990)
L'epoca in cui viviamo è segnata da fenomeni migratori di ampia portata e che sempre più mettono alla prova i paesi industrializzati che si trovano testimoni di questo fenomeno. In ogni paese le minoranze etniche e culturali sono entrate a far parte dei diversi sistemi sociali, trasformando il panorama in multietnico e multiculturale.
Il substrato sociale di ogni paese nel corso dei decenni è andato a strutturarsi in uno stato di sempre maggiore precarietà ed insicurezza. Vediamo le istituzioni sociali più importanti, dalla famiglia a quella più grande governativa, perdere piano piano consenso, fiducia e riferimento. Uno stato di insicurezza alimentato da grandi paure e rischi come quello dei conflitti bellici, i disastri ecologici, la crescita di poteri totalitari, i collassi di crescita economica e capitalistica.
Inoltre, sul piano soggettivo ed interpersonale, si può dire che prima dei grandi mutamenti portati dalla globalizzazione, la vita di ogni individuo era scandita da precise tappe, divieti dettati dalla cultura e dalla religione o dallo stato. Oggi, invece, l'identità personale diventa il frutto delle costanti scelte che ogni individuo compie, privato da quei punti di riferimento valoriali o comportamentali che invece guidavano le nostre comunità fino a poche generazioni fa. 
Sul piano sociale e relazionale, una delle peggiori conseguenze di questa situazione di insicurezza è rappresentata dalla "perdita di fiducia nei confronti dell'altro. Una società che non è più in grado di soddisfare il bisogno di sicurezza dei suoi abitanti è il luogo dove la qualità delle relazioni interpersonali è fortemente in pericolo" (Portera, 2003) .
Nei confronti dell'altro, dello "straniero", del diverso, nascono la diffidenza e la percezione di una minaccia per la propria integrità fisica e psicologica e quindi anche lo sviluppo di strategie di fronteggiamento di ogni tipo.
Al sostantivo straniero viene attribuito una connotazione quasi sempre negativa o minacciosa.
Se proviamo a elencare i modelli d'incontro e scontro fra gruppi con caratteristiche linguistiche, religiose e culturali differenti, avvenuti lungo l'arco della nostra storia, il quadro che ne consegue non è per niente incoraggiante, anzi, rileva come, nonostante le migrazioni siano sempre esistite, l'uomo non è ancora riuscito a risolvere adeguatamente la questione della convivenza.
Vediamone alcuni modelli di esempio:
L'eliminazione: eliminazione mediante l'uso della violenza, con l'uccisione fisica di quei gruppi, stranieri o semplicemente diversi, e più deboli dal punto di vista militare, economico e numerico, che erano concepiti come una minaccia per la propria esistenza o la propria identità. Eliminazione fisica o attraverso l'espulsione dai propri territori o Stati nazionali.
L'assimilazione: quando lo straniero è concepito come "selvaggio", "primitivo" o "ignorante", non lo si elimina ma si cerca di assorbirlo, ossia, integrarlo nella propria cultura, quindi nei propri usi, sistemi di pensiero, lingua e religione. Destino delle civiltà precolombiane in America.
La segregazione o il ghetto: le persone o i gruppi " differenti" per cultura, etnia, lingua o religione, sono rese innocue dal gruppo dominante, attraverso la segregazione. Ossia, possono continuare a vivere come credono, ma, alla sola condizione che restino tra loro, confinati nei loro spazi e che non cerchino di entrare in contatto con gli altri al di fuori del ghetto. Alcuni esempi importanti di questo fenomeno sono la condizione degli ebrei durante il nazismo in Germania e quindi il fascismo in Italia, e quella dei neri del Sudafrica durante l'Apartheid.
La fusione o melting pot: il tentativo di fondere tutte le differenze culturali con lo scopo di costruire una cultura unica da trasmettere a tutti gli abitanti. Nonostante l'intento di creare una convivenza su principi di democrazia, il risultato è purtroppo fallimentare. Ne sono testimoni gli Stati Uniti che hanno assistito come esito ad un rafforzamento delle disuguaglianze e delle appartenenze etniche. Una 'salad bowl', ossia ad una "insalatiera" di culture differenti in cui ognuna ha reagito mantenendo le proprie caratteristiche e magari anche autosegregandosi.
L'universalismo: un modello di convivenza che prevede di porre al centro gli aspetti in comune tra due o più culture, operando una sorta di negazione consapevole delle rilevanti differenze che le contraddistinguono. Al centro è posto un tavolo di valori e principi comuni e soprattutto dei medesimi obiettivi di crescita. Un esempio è dato dai paesi della ex Unione Sovietica.
Il Multiculturalismo: il modello che fino ad ora ha riscontrato più successo. Gruppi di etnia, religione e cultura diverse cercano di convivere nel rispetto reciproco e delle leggi. Esso pone le basi in un'idea di convivenza pacifica data dal principio secondo cui ogni specificità culturale entra a far parte strutturante dell'identità di ogni individuo e come tale va rispettata. Un esempio è la Confederazione Svizzera.
Per comprendere ancora meglio il fenomeno delle migrazioni di popoli e culture è necessario analizzare anche un altro termine molto utilizzato di cui non si conosce il significato evolutivo vero e proprio: l'integrazione culturale. Per integrazione primaria si intende quella fase in cui l'immigrato, ancora molto sofferente per essere stato costretto ad abbandonare il proprio paese, inizia a interiorizzare valori e stili del nuovo ambiente di appartenenza. Nell'integrazione secondaria, invece, il soggetto immigrato è completamente estraniato dalla sua cultura di provenienza ed ha interiorizzato la lingua, la cultura e gli usi del paese ospitante.
Fasi di un processo, quindi, che conducono all'assimilazione di una cultura all'interno di un'altra.
Sembra non esistere una soluzione al fenomeno delle migrazioni, nonostante esse abbiano sempre fatto parte della nostra storia e delle nostre culture più antiche, più che dei confini geografici di ogni paese.
Dal punto di vista sociologico, le discipline umanistiche (in particolare la pedagogia ha dato un grande contributo) hanno approfondito i concetti di multiculturale ed interculturale, sottolineandone, più che una semplice distinzione semantica, una differente concezione dell'uomo e della società.
Dal concetto di multiculturale deriva un approccio prevalentemente descrittivo, basato sull'osservazione neutrale, di due o più culture che convivono su uno stesso territorio. L'azione pedagogica di questo approccio si focalizza, prima di tutto, sullo studio e sulle analisi degli aspetti comuni e di quelli diversificanti, e poi, opera una educazione al rispetto e al riconoscimento dei diritti.
Il concetto di interculturale, invece, è molto più complesso e dinamico e come tale anche in continua costruzione dal punto di vista pratico. Il concetto di interculturale trae origine dal principio di scambio e di interazione tra culture diverse, o meglio tra individui di culture diverse. Questo approccio, in un certo senso, va alla riscoperta dell'individuo, in quanto sono gli uomini in carne ed ossa, che entrano in contatto tra loro, e non tanto le loro culture, che restano qualcosa di più astratto.
Questo tipo di approccio implica l'incontro con lo "straniero", ovvero con colui che ha diversa origine culturale, come un'occasione, dal punto di vista umano ed esperienziale, in cui ci si può arricchire e crescere, e, inoltre, come una opportunità di conoscenza, riflessione e confronto sul piano dei valori e delle regole di comportamento delle comunità. Interculturale come sinonimo di reciprocità, quindi, di scambio, di confronto e di negoziazione, dal quale trarre arricchimento e crescita come individui e come società.
Come sostiene Secco (1992), l'approccio interculturale è "una pedagogia dell'essere, dove al centro è posto il soggetto nella propria interezza a prescindere della cultura di provenienza".
Oltre a riconoscere gli importanti contributi dati dalle discipline umanistiche al fenomeno delle società multiculturali è necessario ricordare dei presupposti fondamentali. Ad esempio che ogni individuo è diverso dall'altro e che l'alterità è parte di ogni ambiente sociale, da quello familiare a quello internazionale. Infine, la cultura è stabilita da ciò con cui ogni individuo entra in contatto nell'ambiente in cui nasce e cresce, dal cibo, dalle usanze folkloristiche, dal clima, dalla lingua, dai costumi, dalle credenze e cosi via, ma assolutamente non dai confini geografici, che sono opera ed arbitrio dell'uomo. 

Slot machine: quando il gioco diventa patologico

11-01-2011 / SALUTE / ILARIA PAOLI
LUCCA, 11 Gennaio - “Io vendo scommesse sul futuro,
 qualcuna vince molto,
 di tutte le altre invece non mi curo,
e non ci sono meriti,
 non c’è una gerarchia
ma solo il cieco meccanismo di una…
 lotteria!
 (….) Se non faccio il botto
mi butto sul Bingo,
 rimango convinto
che se anche non vinco 
è soltanto questione di tempo (
…..) se vinci prendi tutto, se perdi in fondo è solo qualche spiccio
 (…) prendi una moneta, amico (…) sei stato sfortunato, amico
tenta ancora! (…) Una moneta
 almeno una. Una moneta contro la sfortuna
 una moneta 
per cortesia, una moneta e dopo vado via!
” .
- “Monetine”, di Daniele Silvestri-
Questa canzone riassume in poche strofe il fenomeno delle slot machines, macchinette inventate nel 1895 e inizialmente associate ai casinò. Oggi, invece, sono giochi legali e si possono trovare molto facilmente in qualsiasi bar o sala giochi, in quanto, per lo stato, sono diventate artefici di un giro di affari stimato intorno ai 35 o 36 miliardi di fatturato l’anno ( dati raccolti dalla Questura di Torino).
Queste macchinette, insieme al poker on line, le scommesse sportive, il lotto e alcuni altri, sono gli strumenti attraverso i quali negli ultimi anni in Italia si manifesta la piaga del gioco d’azzardo patologico.
Il gioco d’azzardo può essere un comportamento occasionale o un vizio, ed è sempre esistito, infatti, la parola “azzardo” deriva da “az-zah” che in arabo significa "dadi", ossia gioco dei dadi, praticato già nel 3000 a.c..
Ma cosa trasforma un vizio o un comportamento occasionale in una malattia, ossia in un’attività che procura un disagio tale da impedire la normale esistenza di un individuo?
Per il giocatore patologico tipo, tutto inizia, casualmente, con una piccola giocata in un bar, con gli spiccioli del resto di un caffè. È un piccolo svago, poi, però può capitare una vincita fortunatissima, e quindi, la magica illusione di vincere ancora. In realtà quella vincita è solo l’inizio della fine della fortuna perché da quel momento il soggetto, per raggiungere la stessa euforia e possibilità di fare altri soldi in modo così facile, inizia a giocare e inevitabilmente a perdere. Un giocatore compulsivo può arrivare a perdere anche un intero stipendio in un solo giorno, i soldi destinati delle bollette, la casa, il lavoro, la famiglia e le persone care perché tutto il tempo, le risorse e i pensieri del soggetto sono rivolti al gioco, e al modo di trovare i soldi per giocare.
Che cosa scatta nella mente di una persona che per giocare arriva a mettere in posta tutto?
Uno dei meccanismi responsabili è il fenomeno del “chasing”, o la rincorsa alle perdite. Una testimonianza riporta: “ciò che prima era un gioco e un divertimento ora non lo è più. È solo la ricerca del denaro perso. Il tentativo irrazionale di tornare lì dove i soldi sono stati lasciati e puntare sempre più per cercare di recuperare ciò che è stato perso. Ma, inevitabilmente, si continua a perdere”.
Il gioco si trasforma in una sorta di droga, di dipendenza. Si deve puntare sempre di più per divertirsi, all’inizio, e in seguito, invece, per recuperare le perdite. Purtroppo, più si gioca e più si perde, è inevitabile. Come dice una celebra frase: il banco vince sempre. Tuttavia il giocatore non può fare a meno di tornare a giocare e inserendo sempre più monete con la speranza, vana, d’incontrare il giro buono, quello fortunato, quello che riporta almeno in pari. Si crea un circolo vizioso, di dipendenza, un meccanismo patologico per cui, il giocatore non può fare a meno di continuare a giocare e quindi di rovinarsi. 
Il gioco d’azzardo patologico, è descritto come una modalità di gioco ricorrente, persistente e maladattiva, esso rispecchia almeno cinque dei seguenti criteri:  il soggetto ha un eccessivo assorbimento nel gioco; ha bisogno di giocare d’azzardo con quantità crescenti di denaro per raggiungere l’eccitazione desiderata; ha ripetutamente tentato senza successo di controllare, ridurre o interrompere il gioco d’azzardo; gioca per sfuggire ai problemi o alleviare un umore disforico; dopo aver perso al gioco, spesso torna a giocare per giocare ancora o per recuperare le proprie perdite; mente ai membri della famiglia, al terapeuta, o ad altri, per occultare l’entità del proprio coinvolgimento nel gioco d’azzardo; ha commesso azioni illegali come falsificazioni, frode, furto o appropriazione indebita per finanziare il gioco d’azzardo; ha messo a repentaglio o perso una relazione significativa, il lavoro, oppure opportunità scolastiche o di carriera per il gioco d’azzardo; fa affidamento ad altri per reperire il denaro per alleviare il una situazione finanziaria disperata causata dal gioco d’azzardo (Manuale diagnostico e statistico dei disturbi mentali, DSM-IV-TR della American Psychiatric Association, 2002).
Il gioco d’azzardo patologico è un disturbo cronico e, come tutte le dipendenze, richiede un intervento strutturato. Da questa malattia si può guarire controllando la compulsione al gioco, proprio come per la dipendenza dalle sostanze stupefacenti. La prima fondamentale azione è l’astensione totale dal gioco, e poi, il raggiungimento di un equilibrio per cui sia possibile evitare le ricadute. La terapia psicologica può essere svolta in modo individuale o di gruppo, in ambulatorio o in strutture residenziali specifiche. È importante per chi decide di chiedere aiuto, rivolgersi al proprio medico curante o direttamente ai centri di salute mentale della zona. Inoltre, sono attive, purtroppo non in tutte le città, le associazioni di “giocatori anonimi”, ossia, gruppi di auto aiuto, considerati molto efficaci per ritrovare il coraggio e la fiducia in sé necessaria a controllare questa grave malattia.
Una diagnosi di disturbo da gioco d’azzardo patologico può essere fatta esclusivamente da uno psicologo esperto o da un medico specialista, ma quello che segue è un semplice test, elaborato dal South Oaks Gambling Screen,utile a valutare il rischio di essere affetti da questa patologia:
1.         Hai mai perduto tempo dal lavoro per il gioco?
2.         Il gioco ha mai reso la tua vita familiare infelice?
3.         Il gioco ha danneggiato la tua reputazione?
4.         Hai mai sentito rimorso dopo il gioco?
5.         Hai mai giocato per ottenere soldi con i quali pagare debiti o risolvere difficoltà finanziarie?
6.         Il gioco ha causato diminuzione di ambizioni o efficienza?
7.         Dopo una perdita, hai mai sentito il bisogno di ritornare per vincere quanto perduto?
8.         Dopo una vincita sentivi il bisogno di ritornare e vincere di più?
9.         Hai mai giocato fino all’ultima lira?
10.     Hai mai chiesto prestiti per giocare?
11.     Hai mai venduto qualcosa per finanziare il gioco?
12.     Eri riluttante ad usare i soldi destinati al gioco per altri scopi?
13.     Il gioco ti ha mai fatto mancare alle necessità della tua famiglia?
14.     Hai mai giocato più a lungo del preventivato?
15.     Hai mai giocato per allontanarti da disagi o problemi?
16.     Hai mai commesso – o pensato di commettere – atti illegali per finanziare il gioco?
17.     Hai mai avuto difficoltà a dormire per il gioco?
18.     Difficoltà, discussioni, frustrazioni o altro ti spingevano verso il gioco?
19.     Ti sei mai sentito spinto a festeggiare momenti felici con qualche ora di gioco?
20.     Hai mai pensato all’autodistruzione quale risultato del gioco?
(E’ nell’esperienza clinica, che molti giocatori compulsivi risponderanno di sì ad almeno sette delle "Venti Domande").
Ilaria Paoli